La componente educazionale: limite o risorsa?
18 maggio 2017

Nuovi Sintomi, segni di un cambiamento epocale.

Ho intitolato il mio articolo: “Nuovi Sintomi, segni di un cambiamento epocale”. Non è stato certamente casuale e ciò lascia inevitabilmente aperta la questione circa i vecchi sintomi. Cercherò di rispondere di questa dualità “vecchi” / “nuovi” nel corso del mio articolo.

In realtà quello che mi preme mettere in evidenza è il modo in cui si sono evolute certe forme di psicopatologia nel corso degli anni, fino ad arrivare ai giorni nostri.

Nel percorrere questo cammino userò come linea guida la sintomatologia anoressico-bulimica.

I cosiddetti disordini alimentari, di cui anoressia e bulimia nervosa risultano essere le manifestazioni più note, sono diventate nell’ultimo ventennio una vera e propria emergenza nel rango della salute mentale per gli effetti devastanti che hanno, perlopiù su giovani adolescenti (sia maschi che femmine) e giovani adulti. Ricordo, inoltre, che i disturbi alimentari riguardano soggetti appartenenti a tutti gli strati sociali e le etnie più diverse e se non trattati con metodi e strumenti adeguati (psicoterapia, farmacologia e talvolta ricoveri in strutture protette) possono tramutarsi in disagi cronici il cui epilogo può portare fino alla morte.

Per entrare nel vivo della questione porrò qualche domanda. Che cos’è un sintomo? Come si esprime?

Potremmo dire, sintetizzando in pochi punti, che un sintomo è:

 

  • È qualcosa che inevitabilmente sfugge al controllo del soggetto che ne è il portatore;
  • Una condotta, un pensiero, una serie di comportamenti di cui ci si vorrebbe liberare pur senza riuscirci;
  • È qualcosa che insiste, si ripete sempre uguale a se stesso, facendo entrare il soggetto in una certa forma di conflitto con se stesso. In questo caso parliamo di egodistonia del sintomo, cioè l’entrata nella vita dell’individuo di una parte che non è riconosciuta dal proprio io, in disaccordo quindi con la propria coscienza.

 

Queste poche spiegazioni che abbiamo dato del sintomo potremmo dire che rappresentano perlopiù quei sintomi di una clinica psicopatologica classica che con il passare degli anni si ritrova sempre meno, mi riferisco in particolare alla clinica classica delle nevrosi (le psicosi e le perversioni costituiscono un discorso a parte).

Come primo punto ho detto: È qualcosa che inevitabilmente sfugge al controllo del soggetto che ne è il portatore;

Ebbene il sintomo nevrotico effettivamente si configura come qualcosa di cui il soggetto non sa darsi una spiegazione (come ad es. una fobia, un’afflizione di natura ossessiva ecc) ed al contempo non può che prendere atto che con il solo ausilio della propria volontà non riesce ad arginare tale fenomeno. Inoltre, nella secondo e nel terzo punto ho menzionato la volontà di eliminare il sintomo ed il fenomeno della ripetitività, dell’insistenza del sintomo che fa entrare il soggetto in contraddizione con se stesso.

In effetti, il soggetto nevrotico è un soggetto in contraddizione con se stesso. È classica la domanda iniziale dei pazienti che al primo colloquio aprono la loro seduta dicendo: “dottore io vorrei fare tutt’altro ma in realtà mi ritrovo sempre allo stesso punto con le mie solite questioni”.

A tal proposito risulta calzante una delle celebri affermazioni di Freud secondo la quale “nessuno è padrone in casa propria”. Come a voler ribadire che l’istanza della coscienza si trova sempre in opposizione con ciò che c’è di più intimo per il soggetto, vale a dire l’inconscio.

Da tale configurazione ne emergerebbe una clinica delle contraddizioni, una clinica che ha come suo fondamento strutturale un conflitto. Si esprimono proprio in questi termini i primi psicoanalisti, mostrando come ad esempio la nevrosi isterica (sarà proprio lo studio dell’isteria a dar vita al movimento psicoanalitico) fosse causata dall’opposizione di due forze opposte, dal conflitto derivante da una parte dal proprio desiderio inconscio rimosso e dall’altra da forze che attingevano la loro portata dalle imposizioni morali, ovvero dagli imperativi moralistici dell’epoca vittoriana.

Nella celebre opera intitolata “Il disagio della civiltà” il padre della psicoanalisi vuole proprio mettere in evidenza come le spinte culturali che tendono ad un vivere civile costituissero un aspetto problematico che poteva impattare sulla salute psichica dei soggetti appartenenti. La prova più lampante era costituita, alla fine dell’800, dall’intensificarsi di casi di nevrosi isteriche il cui tratto sintomatico più evidente si configurava attraverso fenomeni di conversione somatica (ovvero spostare il proprio conflitto dalla mente al corpo).

Diversamente da quella clinica che, sebbene con una casistica inferiore continua ad esistere, oggi ci troviamo di fronte nuovi fenomeni patologici che classifichiamo come nuovi sintomi. In realtà tale classificazione è per certi aspetti impropria in quanto i primi fenomeni anoressici vengono già menzionati in epoca medioevale, celebre è il caso di Santa Caterina da Siena la quale risulterà affetta da una grave forma di anoressia nervosa.

Il soggetto sembra aver scelto nuove forme di espressione del disagio mentale. Di queste quelle di maggior rilievo e incidenza, oltre ai fenomeni di panico, risultano essere l’anoressia e la bulimia nervosa.

Segno caratteristico della prima forma è il rifiuto di mantenere il proprio peso corporeo al di sopra di quello minimo normale, mentre la seconda è contraddistinta da ricorrenti episodi di abbuffate a cui possono seguire condotte di eliminazione. Comune ad entrambi i disturbi è la presenza di un’alterata percezione della propria immagine e del proprio peso corporeo.

L’anoressia non è una malattia dell’appetito, bensì una vera e propria scelta (inconscia) del soggetto, la cui scelta sintomatica si caratterizza primariamente come una scelta del rifiuto. Questo rifiuto tende a manifestarsi fenomenicamente, innanzitutto come rifiuto del nutrimento, come rifiuto del cibo, con il rifiuto di alimentare il proprio corpo. Ogni clinico che si occupa di questa tipologia di pazienti potrà facilmente constare come in esse si manifesta una determinazione decida, inflessibile, una espressione estrema di forza di volontà, una rara ed inquietante ostinazione.

La scelta dell’anoressica mira quindi a governare il carattere ingovernabile del proprio corpo e retrospettivamente della propria immagine. Questa scelta e la sua perseveranza è fonte di entusiasmo, felicità, di ebbrezza, di godimento.

L’anoressica insegue in ultima analisi l’ideale di una padronanza assoluta a differenza di quanto abbiamo detto prima del nevrotico in cui il soggetto con il suo sintomo presentava qualcosa in contraddizione con se stesso. Padronanza versus contraddizione.

L’insorgenza della patologia anoressica riguarda perlopiù il periodo adolescenziale ed insorge, nella maggior parte dei casi, dopo eventi di separazioni, dopo la rottura di rapporti affettivi e/o sentimentali, di eventi che si costituiscono come trauma come ad es. aggressioni fisiche o sessuali. Tutto ciò trova una spiegazione nella misura in cui il soggetto anoressico, così come tutti i soggetti in questa particolare fase della vita, sperimenta accanto ad una spinta alla individuazione come persona adulta anche una perdita del rapporto più o meno fusionale con l’ambiente familiare ed in particolar modo con la figura materna. Figura che risulterà essere particolarmente compromessa nel discorso delle pazienti. La manovra anoressica assume quindi la caratteristica di esasperare la sua esigenza di separazione. Un’incapacità di sopportare la perdita che confina in una esasperazione del meccanismo di separazione dell’anoressica. Tale debolezza contrasta con il decisionismo che la sorregge, ci troviamo di fronte ad una vera e propria ipertrofia della volontà.

Altro aspetto del rifiuto è il rifiuto del proprio corpo come corpo sessuale. Ma il rifiuto del proprio corpo come corpo sessuale è rappresentato innanzitutto come il rifiuto di un corpo ingovernabile, corpo improprio, corpo pulsionale in preda al desiderio difficile da governare.

Ma il rifiuto anoressico esprime in se anche un’altra caratteristica che è quella dell’appello. È questo il tratto marcatamente perverso dell’anoressica. Il rifiuto diventa in questi casi un modo per gettare l’altro familiare nell’angoscia. Il corpo si fa ostaggio per esercitare sull’altro una pressione, per gettare l’altro nell’abisso dell’impotenza. Quanto sei disposta ad accettare la mia mancanza, anche se questa mancanza può diventare una mancanza reale? Aprire dunque nell’altro un vuoto affinchè da ciò ne possa derivare l’amore. Per certi aspetti la clinica anoressico-bulimica è stata definita una clinica dell’amore, una clinica del segno d’amore. L’altro non è unicamente l’altro delle cure materne, l’altro che soddisfa il mio bisogno di mangiare ma dovrà diventare l’altro che mostra il proprio segno d’amore per me al di là del mia soddisfazione del bisogno di mangiare.

Siamo partiti dunque da una clinica delle nevrosi per arrivare ad una clinica che assume delle connotazioni che hanno un sapore diverso dalla vecchia psicopatologia. Eppure se questo cambiamento è avvenuto è opportuno interrogarsi su quali sono state le modificazioni, quali i cambiamenti che l’hanno reso possibile. E’ utile fare a questo riguardo un’analisi dell’avvento del capitalismo, nella sua accezione più ampia possibile dal punto di vista sociologico. Infatti, con il sopraggiungere delle società marcatamente capitalistiche si è assistito ad una netta modificazione del sistema comportamentale e valoriale. Certamente la nostra società non è più quella che imponeva il divieto come suo fondamento del vivere civile. Siamo di fronte oggi ad una sregolatezza delle istanze pulsionali. La società contemporanea è una società nella quale all’imperativo morale del “non devi” ha sostituito quello del “devi”. DEVI GODERE, è questo il nuovo imperativo categorico predominante del moderno assetto del vivere civile.

È questo il potere distruttivo dell’ascesa del capitalismo che ha lasciato terreno fertile alle nuove forme di dipendenza.

La sregolatezza bulimica del senza limite, l’edonismo maniacale del tossicomane testimoniano di un accordo tra le nuove forme del sintomo ed in nuovo modello societario.

Il disgregarsi delle più importanti istituzioni quali: la famiglia, lo stato, la scuola, un tempo garanti di una stabilità psichica oltre che sociale lasciano il posto alla disgregazione, all’epoca definita dei legami liquidi, all’epoca nella quale l’imperativo del GODERE investe e inventa nuove risposte sintomatiche del soggetto contemporaneo.